Da "il Giorno" di venerdì 16 febbraio 1990

Mantova celebra domani Bruno Rizzi, che per i suoi studi sull'Unione Sovietica è stato definito il "Gilas italiano"

UN GENIALE AUTODIDATTA IN GUERRA COI BUROSAURI

Fu il primo a sostenere cke la rivoluzione bolscevica non aveva dato vita al socialismo ma a una società dominata dalla burocrazia

di LUCIANO PELLICANI

Domani si svolgerà a Mantova un convegno di studi sulla figura di Bruno Rizzi , un geniale autodidatta che durante la sua vita ebbe come interlocutori intellettuali del calibro di Lev Trockij, Isaac Deutscher, Pierre Naville e Walter Kendall, ma che in Italia fu quasi completamente ignorato.

Rizzi attirò l'attenzione di questi studiosi grazie a un libro, pubblicato nel 1939 a Parigi :                                          nel quale sosteneva che la Rivoluzione bolscevica non aveva fondato il socialismo, bensì una formazione sociale SUI GENERIS egemonizzata da "una nuova classe": la burocrazia. Il che gli valse, fra i pochi che si imbatterono nei suoi scritti, l'epiteto di "Gilas italiano".

In effetti, nella celebre opera di Gilas, LA NUOVA CLASSE, non si trova nulla di diverso da quello che Rizzi aveva detto con largo anticipo. Rizzi, quindi, non è stato un epigono, bensì un precursore. Purtroppo essendo un militante della Quarta Internazionale, egli per eludere i rigori della dittatura fascista, firmò il suo libro con il sibillino nome di "Bruno R.". Trockij, che all'epoca si trovava a Città del Messico, lo lesse e ne fu molto impressionato, al punto che i suoi ultimi articoli sono pieni di riferimenti al "misterioso Bruno R.". Ma lo lesse anche James Burnham, che si appropiò dell'idea di base e, senza citare la fonte ispiratrice, scrisse un libro, THE MANAGERIAL REVOLUTION, grazie al quale divenne celebre in tutto il mondo.

Invano il trockista Pierre Naville denunciò il vergognoso plagio di Burnham e l'identità del "misterioso Bruno R.". Rizzi rimase uno studioso emarginato, costretto a stampare i suoi libri a sue spese e a distribuirli personalmente, poichè non un editore italiano ritenne valesse la pena di pubblicarli. Alcune riviste, "Critica Sociale", "Terzo Mondo", "Giovane Critica", "Rassegna Italiana di Sociologia", ospitarono i suoi articoli e qualche studioso, Giorgio Galli, Umberto Melotti, Antonio Carlo, Danilo Zolo, dedicò una non piccola attenzione alla sua teoria del collettivismo burocratico. Ma fu tutto. E così Rizzi morì nel 1977 pressochè sconosciuto e senza avere la soddisfazione di vedere pubblicata, con una prefazione di Bettino Craxi, la sua opera maggiore dalla SugarCo. Mi telefonò poco prima che morisse, per pregarmi di accelerare la stampa del COLLETTIVISMO BUROCRATICO, oltre che per ringraziarmi per quanto stavo facendo per far conoscere agli italiani la sua opera. Questa in breve, l'incredibile vicenda del "Gilas italiano" che il 17 febbraio Mantova si appresta a ricordare come uno dei suoi uomini migliori. Un giusto e doveroso risarcimento postumo a un appassionato studioso che diagnosticò con straordinaria lucidità il più grande male del secolo: il totalitarismo nella sua duplice forma di rivoluzione comunista e di rivoluzione nazista.

                                 
Mette anche conto di ricordare quale fu l'idea centrale che lo portò a capire la reale natura di quella che fino a molti anni or sono folte schiere di studiosi che si dicevano progressisti consideravano "la patria del socialismo". Essa è così riassumibile: la proprietà collettiva dei mezzi di produzione non elimina le classi e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, bensì genera una nuova classe e una nuova forma di sfruttamento, ancora più spietata di quella che caratterizza il modo di produzione capitalistico. E lo fa precisamente nella misura in cui sopprime il mercato e, con il mercato, la stessa autonomia della società civile a petto dello Stato. Risultato: lo Stato unico datore di lavoro, diventa onnipotente e trasforma i produttori diretti in "schiavi della burocrazia".

Oggi questa verità, di fronte alla bancarotta planetaria del comunismo marx-leninista, è diventata quasi autoevidente. Ma quando Rizzi la esponeva nei suoi innumerevoli articoli suscitava solo commenti pieni di sufficenza da parte dei nostri intellettuali organici, ciechi e sordi di fronte alla realtà e arrogantemente convinti che il collettivismo economico fosse niente di meno che "il risolto enigma della storia".

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